Come scrissero due noti redattori di LIFE, Lorus Milne e Margery Milne:
“Sono molte le cose sorprendenti in materia di montagna, ma forse ciò che stupisce di più è proprio il fatto che esse esistano.”
Trascorriamo sempre più tempo al chiuso, ci stiamo abituando a vivere in ambienti sempre più stretti e claustrofobici. Il nostro sguardo non vaga più verso l’orizzonte e quando ci capita di poter ammirare un panorama in effetti dobbiamo concordare con l’affermazione di Lorus e Margery Milne. E’ sorprendente vedere elevarsi una montagna in fondo all’orizzonte, la dove si interrompe la pianura e cominciano i duri pendii frastagliati, le scarpate, i picchi, le torri e le ripide pareti di roccia.
E’ proprio in questi casi che la grandezza del mondo, l’immensità delle montagne, ci lascia rapiti da un incontrollabile senso di meraviglia.
Anche la scienza ci lascia sbigottiti con le sue straordinarie rivelazioni. In particolare la geologia ha raggiunto una conoscenza tale delle montagne che in primo luogo si può esser certi di una cosa: quelli che consideriamo i grandi rilievi del pianeta sono il frutto di forze incommensurabili e che agiscono su tempi cronologici lunghissimi (i così detti tempi geologici). Si tratta di spinte, movimenti e scontri fra masse rocciose che avvengono con una lentezza impercettibile. E’ per questo motivo, probabilmente, dall’antichità fino ai tempi più recenti che si sono considerate le montagne come entità perenni ed immutabili. Infatti è da appena una quarantina d’anni che gli scienziati sono riusciti a formulare un modello teorico in grado di spiegare in modo unitario i vulcani, i terremoti e la formazione delle montagne.
I primi dubbi sull’immutabilità delle montagne emersero con i ritrovamenti dei fossili intrappolati fra gli strati rocciosi delle alte vette. Questi dubbi rimasero tali addirittura fino alla metà del ventesimo secolo durante il quale si cominciò a farsi chiarezza in modo scientifico origine e la nascita delle montagne (orogenesi: oros= monte; génesis=nascita).
Le teorie orogenetiche comprendono ad oggi un gran numero di ipotesi delle quali alcune ampiamente verificate altre ancora aspramente contestate o invalidate. Il dibattito sui fattori che concorrono alla formazione delle montagne è ancora aperto e gli studi certamente non sono completi.
Paradossalmente a contribuire alla comprensione dei lenti movimenti della crosta terrestre sono stati i fondali marini i quali sono di origine molto diversa rispetto alle terre emerse. Essi sono costituiti da rocce molto più recenti (200 milioni di anni, contro i 4 miliardi di anni delle rocce continentali più antiche). Le rocce di cui sono costituiti i fondali marini sono formati prevalentemente da rocce basaltiche, sono per questo più densi e pensati delle rocce continentali che hanno, invece, composizione granitica. Inoltre la litosfera (quella che consideriamo comunemente crosta terrestre) ha spessore di appena 65 km circa in prossimità dei fondali oceanici mentre ha uno spessore che può giungere fino addirittura ai 400 km di profondità in prossimità delle zolle continentali. La spiegazione di questa differenza risiederebbe nel fatto che le rocce continentali, più leggere rispetto alle rocce basaltiche dei fondali oceanici, tenderebbero a galleggiare sul mantello di materiali fluidi di cui sarebbe costituita la così detta astenosfera.
Grazie alle ricerche fatte sul fondo degli oceani nacque la teoria della tettonica delle zolle crostali dette anche placche. Una placca è una porzione di litosfera larga centinaia o addirittura migliaia di chilometri che come una zattera galleggia sul mantello fluido terrestre portando su di essa la massa continentale più leggera. Le più grandi placche sono la placca nordamericana costituita dal Nord America e parte del fondale dell’Oceano Atlantico settentrionale; la placca antartica, la placca africana e la placca eurasiatica.
Le dorsali medio oceaniche sono il margine di separazione tra due placche contigue. Lungo queste dorsali si formerebbe per continua e lenta produzione nuovo materiale roccioso. L’interposizione di nuovo materiale roccioso farebbe si che le zolle continentali sembrino allontanarsi fra di loro spinte dalle forze generate dalla formazione di nuovo fondo oceanico. Non essendovi vuoti fra una placca e l’altra il movimento si propaga a tutte le placche, che si allontanano, si scontrano o si urtano, con conseguenze determinanti per la configurazione della superficie terrestre.
Possiamo riassumere tre possibili situazioni:
- La prima situazione prevedrebbe che due placche possano separarsi spinte in due direzioni
di opposte nella stessa maniera di come avviene lungo le dorsali medio oceaniche. Proprio per l’apporto di nuovo materiale roccioso la placca medio atlantica e la placca nordamericana si allontanano costantemente di circa cinque centimetri l’anno:
- Il secondo caso è quando due placche scivolano una fianco all’altra provocando come effetto dell’attrito reciproco terremoti di notevole intensità (come nel caso della faglia di San Andreas);
- Il terzo ed ultimo caso è quello che ai fini della formazione delle montagne ci interessa maggiormente. Se i margini in collisione appartengono a due zolle continentali questi prima si incastrano poi una delle due placche scivola sotto l’altra. La parte superficiale dei due fronti è schiacciata, piegata e sollevata formando catene montuose, mentre la parte che sprofonda si insinua nel mantello terrestre. Quest’ultimo caso è il caso della nascita delle Alpi o della formazione della catena Himalayana.